In Italia i tormentoni linguistici si susseguono allo stesso ritmo di quelli musicali. In questi giorni, ad esempio, si è diffusa una nuova espressione si attraverso i media, insinuandosi nelle nostre orecchie: si tratta dei cosiddetti “Paesi frugali”, ovvero quei paesi UE particolarmente restii a concedere aiuti finanziari ai paesi mediterranei.
Non c’è da stupirsi se molti hanno sollevato il sopracciglio sentendone parlare dato che, fino a ieri, in italiano di frugale c’erano solo i pasti tutt’altro che luculliani.
Che c’entra la politica quindi?
Il merito – o la colpa, a seconda del punto di vista – è un’altra volta dei giornalisti, categoria che gioca un ruolo determinante nel far entrare nell’italiano nuove espressioni e neologismi. Ma andiamo per gradi. Da dove deriva questa espressione?

I Frugal Four e il doppio tradimento
L’espressione “Paesi frugali” è la traduzione letterale dell’originale inglese Frugal Four, coniata qualche tempo fa dal Financial Times. Lineare, no? In realtà mica tanto, dato che frugal e “frugale” hanno significati simili ma non identici: mentre, in italiano, è frugale qualcosa di scarso o modesto, come appunto può essere un pasto povero, e lo si dice quasi esclusivamente in relazione al mangiare e al bere, l’aggettivo inglese frugal si riferisce a qualcuno dall’indole parsimoniosa, restio a spendere le proprie risorse. Alcuni dizionari danno come sinonimo “tirchio” o “risparmiatore”. La connotazione italiana rientra più nella sfera della semplicità etico-morale, mentre quella inglese è strettamente attinente alla dimensione economica.
In casi del genere, i linguisti parlano di calco, cioè di traduzioni che ricalcano la forma estetica dell’originale, senza restituirne però il corretto significato.
L’espressione italiana tradisce quella inglese anche da un altro punto di vista, quello fonetico. In Frugal Four, infatti, la ripetizione del suono /f/ dà luogo a un’assonanza accattivante, creata ad hoc dai giornalisti anglosassoni. Un po’ come il gioco di suoni che si ha nel titolo della celebre serie televisiva “Otto sotto un tetto”. Dicendo “Paesi frugali”, questa caratteristica sonora va persa.

Giornalisti, vettori di viralità
Il fatto che l’espressione “Paesi frugali” sia una traduzione infelice da più punti di vista non le ha impedito di diffondersi a macchia d’olio. Non c’è da stupirsene: il giornalismo italiano ha ormai la consuetudine di introdurre nel parlato comune nuove espressioni e neologismi. Molte volte queste espressioni sono cattive traduzioni di termini inglesi, ricalcate passivamente, vuoi per pigrizia, vuoi per negligenza, ma comunque con l’esigenza di rilanciare notizie dal mondo anglosassone per far uscire articoli nel più breve tempo possibile.
Un esempio è quello delle mid-term elections, cioè le elezioni di metà mandato tipiche del sistema elettorale americano, diventate in italiano “elezioni di medio termine”, laddove, in italiano, di medio termine – o meglio, a medio termine – può esserci l’effetto di una decisione, non certo una tornata elettorale.
Eppure, anche in presenza di errori madornali, l’espressione pasticciata finisce spesso per diventare virale. Siamo forse degli inguaribili cialtroni? Può darsi. Tuttavia, a onor del vero, c’è da dire che un’espressione mai sentita, per quanto errata, attira l’attenzione molto più di un aggettivo già sedimentato nel vocabolario collettivo. Vuoi mettere il profumo di pane appena sfornato rispetto a quello stantio lasciato per giorni in dispensa?
Di fronte all’effetto novità, siamo disposti a chiudere un occhio anche davanti alle castronerie linguistiche. Certo, a meno che non siamo degli irriducibili grammar nazi. È sicuramente un tema complesso che non mancherò di approfondire nei prossimi post.
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